Otto anni di crescita costante. Sono quelli che segna il mercato M&A nel settore Fintech. Il 2018 si è chiuso con 250 operazioni per un valore complessivo di 9 miliardi di dollari. Il divario tra Europa e Stati Uniti (350 deal per 5,1 miliardi di dollari contro i 600 deal per 9,6 miliardi raccolti) rimane ma si sta accorciando. Per numero di exit (operazioni andate in porto) al primo posto ci sono incontrastati gli Stati Uniti (559), seguiti da Regno Unito (136) e Germania (30). L'Italia è 12° con 8 exit.
La startup fintech "tipo" che viene acquisita ha in media 8 anni di vita, 105 dipendenti e al momento della transazione ha raccolto mediamente 5 milioni di capitale, per un prezzo medio di acquisizione intorno ai 160 milioni. Sono queste alcune delle principali evidenze dello studio Fintech M&As Study realizzato dalla società di consulenza americana Mind the Bridge, in collaborazione con L'Atelier BNP-Paribas Americas, presentato a Milano in Borsa Italiana in occassione del primo SEP Scaleup Summit del 2019, promosso dalla Commissione Europea.
Come spiega Alberto Onetti, chairman & coo di Mind The Bridge, «nel Fintech l'Italia sta cercando di farsi una sua strada anche se queste start up - spiega il manager vanno inserite in un contesto europeo, diversamente non riescono ad emergere perché il mondo Fintech va inquadrato in una dimensione sovranazionale».
Tra tutti i deal registrati, il verticale dei pagamenti è quello che attira più acquirenti (17%) anche se mostra segni di rallentamento dopo tre anni di crescita. «Seguono poi -aggiunge Onetti- con il 17% dei deal il banking con grandi gruppi tradizionali che cercano alleanze con start up per non soccombere dalla forza dell'innovazione che si portano dietro casi come Atom Bank, N26 a Revolut almeno in Europa e il crypto-blockchain (copre il 5% dei deal) che sta letteralmente esplodendo, sebbene sia ancora un settore sottoposto a problemi di regolamentazione e truffe potenziali. Dietro troviamo tecnologie di rilievo nella gestione del credito (4%), crowdfunding, fatturazione, finanza personale, crowdsourcing, asset management (tutte al 3%), piattaforme di trading e poS, sicurezza (2% ciascuna), prestiti».
Un posto a parte merita la gestione del rischio categoria che si colloca a cavallo tra Fintech e Insurtech. E se il Fintech mostra una presenza 6 volte maggiore, da non sottovalutare è l'Insurtech. «Quello assicurativo è un settore in profonda trasformazione - conferma Filippo Renga, direttore degli Osservatori Mobile Banking, Fintech & Digital Finance del Polimi- e proprio dal mondo Insurtech ci aspettiamo delle grandi innovazioni nei prossimi anni».
Ma quali sono le start up italiane di cui sentiremo parlare di più nei prossimi mesi. Sicuramente alcune di quelle (Axerve, Vipera, Kubique, Dpixel, Codd&Date; Innoblu; Beesy) dentro Fabrick, prima realtà strutturata nata in Italia (partecipata dal Gruppo Banca Sella), con una visione internazionale volta a favorire l'open banking. Tra quelle che sono più avanti c'è Beesy, piattaforma per il banking destinato a imprenditori e professionisti. «Nasciamo per consentire agli utenti di gestire conto corrente, ricevere pagamenti, creare fatture e monitorare le spese - anche in versione elettronica - in unìunica soluzione integrata, dallo stile semplice ed intuitivo - spiega l'ad Matteo Concas - al momento alcuni fondi di venture capital hanno creduto nel nostro progetto e nel 2019 lavoreremo per raggiungere 10mila clienti, chiudere partnerships con banche per offrire soluzioni business innovative ai loro clienti; infine completare integrazione con le Api Psd2 che le banche italiane dovranno esporre nel 2019».
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